martedì 23 marzo 2010

Le avventure di Bianca e Bernie (1977)



di John Lounsbery, Wolfgang Reitherman, Art Stevens

'Le avventure di Bianca e Bernie' è il quinto film classico della Disney ad essere stato prodotto dopo la morte di Walt Disney stesso, e , strano a dirlo, a distanziarlo dalle opere precedenti e successive c'è un abisso. Questa è probabilmente la più dark tra le animazioni classiche ed esagerando si potrebbe dire che un senso di morte pervade tutta l'opera. Per spiegare questo bisogna introdurre un'altro elemento fondamentale di tutto il film: gli ambienti; infatti, se i personaggi intesi in senso comune non convincono sempre, gli ambienti sono estremamente incisivi sia nell'immaginario sia nella narrazione. E' alquanto atipico che in un film d'animazione della film della Disney, con un pubblico di soli bambini (il cartoon commerciale con un vasto pubblico viene molto dopo) i paesaggi preponderanti siano rappresentati da una New York, straordinaria nelle scene diurne ma alquanto squallida nelle ben più importanti scene notturne, e soprattutto dalla palude (un nome un programma: La Palude del Diavolo), priva dei soliti elementi naturalistici rassicuranti, giocosi, fantastici (vedi Peter Pan), ma scomoda, marcia, paurosa. E' la palude il vero protagonista del film, una palude che contiene molti elementi negativi, dalla malvagia Medusa e dai crudeli Bruto e Nerone (i coccodrilli), alla claustrofobica grotta continuamente minacciata dalla marea in cui sono nascosti sterili tesori, insieme a teschi e scheletri; in questo contesto non possono che stonare gli appena abbozzati aiutanti di Bianca e Bernie qui presenti, buoni ma alla fine costretti a vivere in un luogo malvagio, in un luogo di morte appunto.

Per tutto il film è l'angoscia a prevalere, interrotta brevemente da siparietti comici che non aiutano a trovare un equilibrio; lieto fine posticcio a parte, alla fine il bene è solo caduco, non prevale mai definitivamente, il presente è nero, l'unica speranza è per un remoto Domani, come recita la canzone principale, 'Domani è un altro giorno'.

Dal punto di vista tecnico, agli ottimi disegni di fondo, in cui sono preponderanti le tonalità scure, non corrispondono altrettanto buone animazioni dei personaggi, e neanche il comparto audio, seppur accettabile, non raggiunge le eccellenze della Disney.

Le avventure di Bianca e Bernie rappresenta un'anomalia nel panorama Disney, sebbene si potrebbe ritenere il contrario ricordando il più celebre seguito (primo sequel di un classico, più famoso anche per l'immagine satanica), ma le differenze sono abissali: da una palude si passa all'Australia, terra solare, e si abbandona l'angoscia con una storia più eroica, simpatica e banale: si noti che il personaggio della libellula, che alla fine del primo film rimane con i due topini, scompare misteriosamente, come che gli autori abbiano voluto cancellare la memoria di certi ambienti.

Alla fine, da rivedere.

Voto: 7,5/10


lunedì 8 marzo 2010

Oscar 2010 - 82 Academy Awards - Tutti i vincitori

MIGLIOR FILM: "The Hurt Locker'"
MIGLIOR REGIA: Kathryn Bigelow ("The Hurt Locker")
MIGLIOR ATTORE: Jeff Bridges ("Crazy Heart")
MIGLIOR ATTRICE: Sandra Bullock ("The Blind Side")
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: Christoph Waltz ("Bastardi senza gloria")
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: Mònique ("Precious")
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: Mark Boal ("The Hurt Locker")
MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: Geoffrey Fletcher ("Precious")
MIGLIOR FILM D"ANIMAZIONE: "Up"
MIGLIOR FILM STRANIERO: "El Secreto de Sus Ojos" (Argentina) di Juan Josè Campanella
MIGLIOR SCENOGRAFIA: Rick Carter, Robert Stromberg e Kim Sinclair ("Avatar")
MIGLIOR FOTOGRAFIA: Mauro Fiore ("Avatar") MIGLIORI COSTUMI: Sandy Powell ("The young Victorià)
MIGLIOR MONTAGGIO: Bob Murawski e Chris Innis ("The Hurt Locker")
MIGLIOR TRUCCO: Barney Burman, Mindy Hall e Joel Harlo ("Star Trek")
MIGLIOR COLONNA SONORA: Michael Giacchino ("Up")
MIGLIOR CANZONE ORIGINALE: "The Weary Kind", di Ryan Bingham e T.Bone Burnett ("Crazy Heart")
MIGLIOR MONTAGGIO SONORO: Paul N.J. Ottosson ("The Hurt Locker")
MIGLIOR SUONO: Paul N.J. Ottosson e Ray Beckett ("The Hurt Locker")
MIGLIORI EFFETTI SPECIALI: Joe Letteri, Stephen Rosenbaum, Richard Baneham e Andrew R. Jones ("Avatar")
MIGLIOR DOCUMENTARIO: "The Cove" di Louie Psihoyos e Fisher Stevens
MIGLIOR CORTO DOCUMENTARIO: "Music by Prudence" di Roger Ross Williams e Elinor Burkett
MIGLIOR CORTO ANIMATO: Logorama di Nicolas Schmerkin
MIGLIOR CORTO D"AZIONE: "The New Tenants" di Joachim Back e Tivi Magnusson

domenica 7 marzo 2010

The Hurt Locker (2008)



di Kathryn Bigelow
con Jeremy Renner, Anthony Mackie, Brian Geraghty, Guy Pearce, Ralph Fiennes, Evangeline Lilly

Due parole vale la pena spenderle anche per The Hurt Locker, altro film favorito (e maggiormente candidato) per gli Academy Awards. Due parole, in quanto l'argomento è troppo complesso per essere trattato approfonditamente, non dal punto di vista cinematografico ma per la valenza di questo film nel panorama dell'intrattenimento. The Hurt Locker è un film duro, a partire dalla tecnica registica e dalla fotografia, che si pongono l'obiettivo di descrivere in modo assolutamente oggettivo un episodio, una storia, ma anche una Storia con la S maiuscola, che la retorica inevitabilmente svuoterebbe. Il protagonista è un artificiere dell'esercito statunitense all'opera in prima linea in Iraq, e la macchina da presa segue in maniera neutra, ma per questo ancora più intensa, le sue esperienze, la sua vita sempre appesa ad un filo, sempre a pochi metri o centimetri da ordigni micidiali che, nell'intenzione di chi li ha costruiti, servono soltanto ad uccidere. Un'esistenza, la sua, che abbandona ogni ideale e speranza di divenire migliore, ma che, alla fine, scoprirà imperniata sul valore civile, oltre che militare. Ma The Hurt Locker non è solo la storia di un uomo, è la storia di molti uomini, infatti il protagonista è soltanto un sostituto dell'artificiere che prima di lui lavorava nella medesima squadra, ma che è rimasto sul campo; è la storia di un'ossessione, al guerra, che non permette a chi l'ha vissuta di dimenticarsene una volta tornato in patria, ma è come in un tunnel senza uscita, da cui non si vuole uscire, ne' si può. Dopo l'Iraq, vuole dirci la regista, non esiste più nulla, se non un'altra guerra, ed è meglio tornare sul campo di battaglia che combattere contro se' stessi.

Da un punto di vista prettamente cinematografico, come già detto, domina un desiderio di realismo, forse di iper realismo, smorzato solo in una parte insignificante da un'attribuzione di passate epiche gesta al protagonista di gusto tutto americano e da una parte di pur esile sentimentalismo. E' dunque necessario un pur accennato confronto con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, da cui è sicuramente debitore dal lato artistico: se in quest'ultimo film l'iperrealismo portava ad una tensione esasperata del concetto, della storia e dei personaggi, producendo un capolavoro, in The Hurt Locker questo fallisce, ma non in senso assoluto, solo in relazione ad una visione da parte di chi, come noi, non sia appartenente al popolo americano e a tutte le sofferenze sotterranee che ha vissuto negli ultimi anni. Questo non significa che non si possa trovare in quest'opera un qualche messaggio o sentimento in cui possiamo ritrovarci, ma sicuramente che chiunque ha acclamato, e acclamerà sinceramente questo film come un capolavoro pur non essendo americano, opererà una forzature intellettuale che deve essere considerata artificiosa.

Giudizio: 6,5/10


Aggiornamento 08/03: Curiosità : Con la poco sorprendente vittoria dei due Oscar più ambiti (Film e regia) e di altri quattro di The Hurt Locker entra a far parte della storia dell'entertainment cinematografico anche Gears of Wars, con cui si consuma nel film uno dei pochi momenti ricreativi per i soldati.

sabato 6 febbraio 2010

Avatar (2009)



di James Cameron
con Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Stephen Lang, Michelle Rodriguez, Giovanni Ribisi

Jake Sully, ex marine in sedia a rotelle, viene ingaggiato per manovrare un Avatar di Na'vi, popolazione indigena aliena, per convincerli a lasciare il loro luogo d'origine. Ma ben presto si unirà alla causa Na'vi e combatterà contro la sua stesa gente.

Avatar è stato pubblicizzato, e quindi successivamente acclamato, come il film che avrebbe riportato le grandi masse al cinema, con l'introduzione della tecnologia 3D IMAX su vasta scala, e come il film il che avrebbe rivoluzionato definitivamente questo mondo. Per prima cosa bisogna ricordare che la tecnica stereoscopica approda al cinema nel lontano 1922, che il periodo d'oro della terza dimensione è stato a metà degli anni cinquanta e che fino agli anni Ottanta furono presentati prodotti di questo tipo. Non dimentichiamoci poi che la qualità di un film non è proporzionale agli effetti speciali (vedi, tra i molti, La guerra dei mondi di Spielberg).Tutto ciò non significa comunque che la tecnica e gli effetti speciali donino ad Avatar molta godibilità, e, perché no, anche una buona dose di sano divertimento.Oltre a questo, James Cameron si è confermato come un cineasta dalle grandi doti. Riesce perfettamente nel suo intento di creare un mondo, Pandora, in cui lo spettatore riesca a perdersi con lo sguardo, e addirittura a stupirsi, nell'avanzare delle situazioni e degli eventi coordinati in modo impeccabile in modo da non far perdere un colpo al ritmo. Avatar è un film semplice, e non necessita di discorsi lunghi e/o complicati. I Na'Vi sono il corrispondente dei nativi americani, e il messaggio di fondo, come accade troppo spesso, snaturandolo, è ecologista. Pandora è l'unico elemento veramente notevole oltre alla bravura del regista (il bestiario e la vegetazione, lo ripeto, sono realizzati ottimamente), e poco importa alla fine se la trama è troppo semplice e sfocia nel banale, e se i personaggi hanno meno profondità delle bestie di Pandora (infatti il personaggio migliore è quello più piatto, il comandante cattivo); Avatar resta un buon film che si riesce ad apprezzare anche ad ulteriori visioni oltre alla prima.
Due cose da segnalare: la prima è l'importanza effettiva del 3D nelle dinamiche del film (se, cioè, sia veramente necessario); la seconda è la spudorata copiatura di elementi tratti dal mondo dei videogiochi per creare alcuni elementi (le granate sono due granate di Half Life 2 incollate, alcuni mezzi volanti sono ripresi fedelmente dalla saga di Halo, in particolare il secondo capitolo, gli animali sia terrestri che volanti che si fanno cavalcare ricordano troppo le mount di World of Warcraft, poi, più in generale, uno stile fantascentifico evolutosi fuori dal cinema).
Giudizio numerico: 8--

P.S.: Il più diretto 'concorrente' di Avatar nei suoi punti cruciali ,effetti speciali e affluenza nelle sale, è Star Wars (1977), il quale , secondo mia opinione, è più innovativo nel primo punto, e, secondo i numeri, è stato più magnetico nel secondo punto.

giovedì 4 febbraio 2010

La rabbia di Pasolini (2008)


Introduzione di Giuseppe Bertolucci (2’)
Materiale inedito dell’archivio dell’Istituto Luce (16’)
La Rabbia (edizione del 1963, 53’) del Gruppo Editoriale Minerva RaroVideo
Appendice: L’aria del tempo (12’).
Durata totale: 83’

Pasolini disse, parlando de 'La Rabbia': “un saggio polemico e ideologico sugli avvenimenti degli ultimi dieci anni. I documenti sono presi da cinegiornali e da cortometraggi e montati in modo da seguire una linea cronologica ideale, il cui significato è un atto di indignazione contro l’irrealtà del mondo borghese e la sua conseguente irresponsabilità storica. Per documentare la presenza di un mondo che, al contrario del mondo borghese, possiede profondamente la realtà, ossia un vero amore per la tradizione che solo la rivoluzione può dare”. Ma il film non fu questo, o almeno lo fu solo in parte, in quanto la produzione impose che fosse Guareschi, illustre esponente dell'intellighenzia di destra, a curare il primo episodio. Pasolini si sentì tradito. Questa versione del 2008 attraverso un attento lavoro filologico riuscì a ricostruire la prima parte (16') come, in teoria la avrebbe pensata Pasolini, e aggiunge in appendice 'L'aria del tempo', un'interessantissima raccolta di documenti video dell'epoca che dimostrano come la campagna mediatica contro l'intellettuale di sinistra fosse quanto mai aspra.
Tutta questa operazione non può però mancare di sollevare qualche dubbio: perché restaurare un film semi-sconosciuto (all'epoca fu ritirato subito dalle sale) togliendo una parte essenziale, come l'episodio di Guareschi? Per riportare in vita l''originale'? Ma non è l'originale quello uscito in sala? Non si rischia così di rendere estremamente difficoltosa la distribuzione della versione uscita nelle sale? Non puzza tutto, in ultima analisi, di un'operazione ideologica? Ai posteri l'ardua sentenza.
Riguardo al film in sè, è un collage di documenti degli anni del dopoguerra, con una visione spesso pessimistica della situazione globale. L'ideologia di Pasolini si vede parecchio invecchiata, e in alcuni tratti assolutamente antiquaria (si pensi alla scena in qui osanna i villaggi sovietici, in cui i contadini sono contenti di lavorare e possono godere liberamente dell'arte), ma tutto sommato qualche massima universale si può ricavare, oltre che un buon valore documentario.
Da antologia l'emozionante ricordo di Marilyn Monroe.

mercoledì 27 gennaio 2010

Pizza a Auschwitz (2008)


di Moshe Zimerman
con Danny Chanoch, Miri Chanoch, Sagi Chanoch
Durata: 52 min

Per la Giornata della memoria. Danny Chanoch, anziano superstite di Auschwitz, porta i suoi due figli a seguire il percorso che lui ha fatto da bambino, dalla sua città natale in Lituania ad Auschwitz.

Questo è un mediometraggio che non può non smuovere gli animi e portare alla riflessione. E' la testimonianza girata in presa diretta di un uomo che ha vissuto la tragedia dell'Olocausto, e che cerca di farla comprendere ai suoi figli. Sagi è molto religioso, e non parla quasi mai. Miri invece è molto critica, e non perde occasione per discutere col padre sul significato di quel viaggio, così lontano da casa (vivono tutti in Israele). I temi chiamati alla riflessione sono molteplici, dal nuovo razzismo europeo, ai diritti dei superstiti ebrei e la loro posizione nel mondo, la possibilità e l'utilità di comprendere quelle esperienze, la sofferenza di una famiglia e dei figli di un padre che non manca un'occasione per ricordare il suo passato. Un commento cinematografico non è possibile, in pratica il film è costituito da quattro o cinque persone che fanno questo viaggio e un altro paio che le seguono per testimoniare e registrare il fatto. Non c'è praticamente scrittura, si pensi che all'inizio il programma è passare per tre campi di concentramento- sterminio di cui l'ultimo è Auschwitz, ma non si va oltre al primo. Passato solo in pochi festival e cineforum, in lingua originale (ebraico) sottotitolato.

venerdì 8 gennaio 2010

The Horsemen (2009)


di Jonas Åkerlund
con Dennis Quaid, Zhang Ziyi

Il detective Breslin si trova ad indagare su una serie di inquietanti omicidi, che scopre essere legati tra loro dal libro dell'Apocalisse di Giovanni. Quattro assassini, quattro Cavalieri, e la catena porta a lui.

la maggior parte della critica ha visto in questo film il tentativo di continuare, forse di evolvere, quel filone horror tipico degli anni Duemila - di cui fanno parte Saw - l'enigmista e Hostel - che mira particolarmente ad impressionare. In realtà sono molto più appropriati dei collegamenti con un'altra opera, il mediocre 8MM - Delitto a Luci rosse di Joel Shumacher con Nicolas Cage, soprattutto negli aspetti legati alla psicologia del personaggio, approfondita (o almeno questo era il tentativo) al punto giusto, al contrario dei film sopra citati che seguivano un modello corale. Detto questo in questo film non c'è altro motivo di interesse, a parte forse chiedersi il motivo di una campagna pubblicitaria abbastanza massiccia per un prodotto del genere. Al di là del livello tensione, che bisogna ammettere che è buono e a volte riesce anche a montare discretamente, tutto il resto è da buttare. Dennis Quaid è al suo peggio, e gli attori che gli girano intorno fanno di tutto per superarlo in piattezza recitativa; la sceneggiatura è veramente pessima, dalla storia (gli assassini come i cavalieri dell'Apocalisse è troppo banale) ai dialoghi insulsi, da degli errori inconcepibili (vedi sospensione finale, senza aiuti), fino a un finale che ogni essere mortale spererebbe di non vedere mai. Le cadute nel ridicolo sono molto frequenti, e la morale che vorrebbe esserci sotto (il disagio giovanile, le brutture della vita) non vale nulla. Da evitare.
Giudizio: 3,5/10