mercoledì 16 dicembre 2009

Lo scoiattolo (Die bergkatze)


di Ernst Lubitsch


Film in quattro atti: un soldato con la fama di grande seduttore viene trasferito in una fortezza di confine, e durante il viaggio viene rapito da una brigantessa che si innamora di lui; riesce a liberarsi e dopo un attacco ai briganti gli viene quasi imposto di sposare la figlia del comandante dell'avamposto; durante la festa per la vittoria contro i briganti questi ultimi si introducono nella fortezza rubando tutto, e il protagonista si rende conto di amare la brigantessa; la brigantessa sposa uno della sua banda ma quando viene a sapere delle nozze dell'amato si reca da lui, ma alla fine lo allontanerà da lei per lasciarlo alla sua legittima sposa.

Mi sono dilungato un po' sulla trama del film in quanto è di grande importanza per comprendere l'impatto che ebbe e la relazione con l'oggi. Per prima cosa bisogna dire che Lo scoiattolo (il titolo è riferito alla brigantessa, ma non ha grande importanza) fu il primo grande flop di Lubitsch, ancora nella sua fase tedesca, benchè lui stesso non lo considerasse un fallimento, e a causa del suo scarso successo di pubblico è giunto fino a noi molto in sordina, è misconosciuto. In realtà uno degli argomenti più interessanti da trattare parlando di quest'opera è proprio il suo invecchiamento, neanche a dirsi, al di là degli aspetti tecnici, estremamente buono. La storia, come avrete già intuito, è quella classica di un amore impossibile, trattata fin dall'antichità greco-romana in mille salse; è il genere però che in questi ultimi anni (diciamo una decina, per fortuna è in esaurimento) ha avuto molta diffusione: si potrebbe definire, non forzosamente, una commedia romantica, in quanto le parti dense di ilarità sono molte, e la storia d'amore il perno del film (in fondo Lubitsch è tutt'altro che estraneo al genere, per usare un eufemismo). Nelle varie commedie romantiche, spesso di scarsa qualità, troviamo spesso, se non sempre, degli elementi che contraddistinguono il genere, come il matrimonio forzato, uno dei due amanti fuori dalla portata dell'altro, le gag erotiche, spesso i banchetti; ne 'Lo scoiattolo' Lubitch riesce perfettamente a mescolare tutti questi elementi, per ricavarne una formula estremamente divertente (difficile trattenere almeno un sorriso quando il protagonista, che sta lasciando il suo paese, viene inseguito da un centinaio di donne invasate e una gli grida 'Grazie per averci soddisfatto', e lui: 'ho fatto quello che potevo', e a seguire una quarantina di bambini che gli gli gridano 'ciao papà!')e allo stesso tempo pieno d'azione, come l'attacco dei soldati alla banda di briganti, combattuto prevalentemente a palle di neve, o l'incursione degli stessi briganti nella fortezza mentre sono tutti ubriachi, in cui si uniscono alla festa. Un'altra scena da segnalare(anche per sottolineare la particolarità dell'immagine femminile, della brigantessa interpretata da Pola Negri, tutt'altro che sottomessa, quasi una femme fatale), si svolge nell'accampamento dei briganti, subito dopo che questi stessi hanno tentato di uccidere il loro capo, padre della brigantessa: questa con un frustino insiste sul fondoschiena di questi per punirli, ma questi non sembrano disdegnare, e il padre le dice 'Non viziarli troppo'. Da notare anche le fantastiche scenografie, che contribuiscono a donare un'atmosfera fantastica (alcune forma architettoniche sono quasi astratte); l'unico elemento di immaturità in un film decisamente gradevole, al di là dell'aspetti artistico, è forse l'utilizzo di alcuni espedienti per ridurre il campo visivo ed includerlo in varie forme, per evadere il problema della prospettiva dell'ambiente, ma si può perdonare ad un film tedesco muto del 1921 (manca ancora qualche anno per vedere Metropolis di Lang, del 1927). Segnalo la recente rimusicazione di Marco Dalpane, che contribuisce ad un'atmosfera più frizzante.

martedì 1 dicembre 2009

Ancora su Religiolous, in riposta ad un commento

ahah. Dopo questa recensione non potevo non aspettarmi degli attacchi anche personali, che comunque accetto. Premettendo che la mia è solo un'opinione, e non una verità assoluta (altrimenti faccio la figura del tipo del film), vorrei far cadere l'attenzione (cosa alquanto ambiziosa) sul concetto stesso di scienza e di ragione, quella che da Cartesio arriva fino alla fine del'800, e che l'epistemologia novecentesca, nata da crisi matematiche e fisiche ( si veda il relativismo di Einstein) ha di fatto distrutto. E' ovvio che nella recensione pare che io voglia giustificare le religioni, ma celatamente sta qui la mia critica. Posso comunque condividere che il documentario non abbia pretese scientifiche (altrimenti sembrerebbe un libro di Odifreddi), ma questo, sempre secondo me, non lo salva dal basarsi su un metodo che personalmente non condivido.

P.S.: volevo comunque postare una cosa del genere, quindi non è mia intenzione contraddire nessuno, il commento dell'utente è stato solo un catalizzatore.

sabato 21 novembre 2009

Watchmen


Di Zack Snyder
Con Malin Akerman, Jackie Earle Haley, Carla Gugino, Jeffrey Dean Morgan, Matthew Goode, Billy Crudup, Patrick Wilson, Stephen McHattie, Matt Frewer, Carrie Genzel

Ci troviamo senza dubbio davanti a un lavoro particolare, sicuramente degno di nota. Questo non significa che sia un capolavoro, e si fatica purtroppo anche a dire che sia un bel film.
Ma partiamo dagli aspetti positivi, quelli che lo rendono u n film da vedere: ogni grande opera (e, come abbiamo già detto, questa la si definisce difficilmente tale) ha più piani, o livelli, di lettura; anche Watchmen si può leggere in minimo tre modi, tutti interessanti: il primo, quello più semplice, più diretto, quello diretto al grande pubblico è ovviamente quello prettamente narrativo, che riguarda la storia e i personaggi. Questo aspetto è forse il più riuscito, e anche il più anomalo e meno banale: innanzitutto i personaggi sono quanto mai particolari (ovviamente molti dei pregi da attribuirsi al film sono prima di tutto pregi dell’originale graphic novel), non vediamo i soliti supereroi iperattivi e intenti a salvare il mondo, ma degli uomini, e donne, stanchi, disillusi, che riconoscono l’impossibilità di ottenere un riscatto da una società che ormai da molti anni non li vuole più (Nixon, al suo ennesimo mandato, ha vietato le maschere). E anche quando alcuni di loro cercano un ritorno alle glorie del passato sanno che nulla è più come prima, eccetto forse che sapeva fin dal principio che quel mondo splendido non è mai esistito (gli Usa hanno vinto la guerra del Vietnam, ma sembra che proprio da lì sia iniziata un’inesorabile decadenza). E’ da qui che si capisce che il pubblico del film è un pubblico maturo, non di bambini ed adolescenti. Le riflessioni sulle questioni esistenziali non si risparmiano, e se non si è interessati a questo tipo di film potrebbero risultare anche noiose (considerando l’economia generale dell’opera).
Il secondo livello è quello sociale, ed è quello che ha decretato il successo di critica del film; a ben guardare,però, la sua forza si ferma quando si intuisce che sono semplici considerazioni di carattere critico sull’America inserite in un modo (poco) fumettoso di supereroi. Il mondo è nel pieno della guerra fredda, che negli Anni 80 si fa sempre più pericolosa, e USA e URSS sono al limite dello scontro; Nixon è al suo quinto mandato; nelle vie cittadine c’è morte e distruzione, e la polizia non ha più alcun potere; non si può più sperare neanche negli eroi mascherati, luminosi nella Seconda Guerra Mondiale. L’aspetto sociale è, come già detto, estremamente valido se considerato funzionale all’ambito narrativo, ma preso a sé mostra alcune incertezze.
Il terzo aspetto, quello più complesso, è prettamente metafisico, e sfocia direttamente nel nichilismo e nel relativismo (il che dispiace, ma non può essere qui criticato). Ovviamente questo è generico e posticcio, ma interessante in quanto un argomento metafisico in un film di questo genere è quanto meno raro.
In estrema sintesi questi sono gli aspetti interessanti, e valgono largamente la visione. Per quanto riguarda i difetti, sarò breve, non c’è molto da dire. Il film è molto lungo (due ore e mezzo), e se non visto in sala sarà difficile non distrarsi mai; i personaggi sono troppi, e si capisce come il progetto fosse troppo pretenzioso nel voler mantenere tutti i contenuti del fumetto. Infine, la carne al fuoco è sicuramente troppa, sono moltissimi gli argomenti interessanti che vengono appena accennati (ma forse sta qui il carattere più valido…).
Se vi siete stancati del solito fumettone anni 50 (e anche di quello più dark ma sempre buono tipo gli ultimi Batman), quest’alternativa post-punk infarcita di cinismo e senza un lieto fine fa per voi.
Giudizio: 7,5/10

sabato 14 novembre 2009

Religiolus - Vedere per Credere




regia di Larry Charles

con Bill Maher

Un tizio va in giro a parlare con gli sconosciuti e dicendo cose a caso e poi dice di aver fatto un documenterio sulla religione.

Ci sono film che non si possono vedere? No. A parte questo, forse. Questo film dovrebbe essere un documentario sulla religione, assolutamente di parte (che non è un difetto), da un punto di vista scettico-scientifico. Purtroppo non si salva niente. Per prima cosa bisogna vedere chi è il protagonista: Bill Maher vorrebbe, come già detto, un film critico sulla religione da un punto di vista scientifico: il problema è che lui non sa nulla ne' di religione ne' di scienza: come si vede sin dall'inizio del film il conduttore è infatti un cabarettista fallito degli anni '80.
Le uniche nozioni sulla religione sono in purissimo stile americano, sembrano prese direttamente da un sito internet di quart'ordine, ovviamente decontestualizzate e senza filo logico. Non si riesce realmente a cogliere una coerenza argomentativa in tutto quello che viene detto.
Fin qui abbiamo già individuato un prodotto pessimo, ma tuttavia ci si potrebbero fare quattro risate in faccia a questo tipo convinto di ciò che dice, e che, si vede chiaramente, dice cose senza senso.
Si pensi che non si arriva neanche lontanamente un discorso con persone competenti in materia (ci mancherebbe!, il conduttore non reggerebbe neanche un secondo!):infatti per primi vengono intervistati, sul tema, dei camionisti (assurdo ma vero) e via così tra commessi di negozi di oggettistica religiosa turisti di plasticose e molto american stile ricostruzioni della Terra Santa (persino un attore che interpreta Gesù, chissà, forse si pensava di parlare con quello vero), tutti notoriamente esperti in questioni teologiche (...). OK. Ma qui viene il bello, qui casca tutto, e farete fatica a crederci pur vedendolo: per illustrare le linee guida di una religione minore americana, si filma un barbone (!) a Londra (cosa c'entra Londra?) che grida delirante in mezzo ad una piazza per un pezzo di pane citando a caso suddetta religione. Ma andiamo avanti. Un altro punto topico è l'intervista, ad Amsterdam, di un tipo 'fatto' che dice di aver creato una religione (il nome non lo sa neanche lui, non ci sono seguaci, non ci dicono niente: c'è il dubbio che sia una farsa), e tutta l'intervista è svolta mentre il tizio è sotto effetto di stupefacenti: anche qui, come in tutti (proprio tutti) gli altri dialoghi, vengono montate in video dei sottotitoli denigratori (ma l'intervistatore non sapeva parlare?) in puro stile televisivo trash.
Quando poi si sente che 1) Maher non conosce la celeberrima interpretazione Galileiana della Bibbia, secondo cui essa è stata scritta senza criteri scientifici e deve essere posta in un determinato contesto storico (la Bibbia vale per lo spirito, non c'entra con la scienza): fatto che viene ribadito in una breve intervista ad un ecclesiastico dell'Osservatorio Vaticano: l'intervistatore fa una faccia inebetita e non riesce a dire niente (non ci arriva?); 2) non conosce neanche una parola di filosofia, si vede distante un chilometro che non ha mai letto un libro in vita (vedi i prima citati siti decontestualizzanti), da Agostino a Tommaso a Popper per quanto riguarda l'Olocausto, figuriamoci poi i greci; 3) non concepisce la Trinità nell'Uno, da un punto di vista logico si potrebbe spiegare ad un bambino di 10 anni (anche qui, forse non ci arriva); 4) utilizza come prova a sostegno della non esistenza di Dio il fatto che non si veda (purtroppo non sto esagerando); allora i dubbi crescono.
Ma ad un certo punto si capisce che il film può diventare pericoloso: l'autore non cerca qualcosa, e convinto di avere ragione: spesso ride in faccia alla gente (ma scherziamo!?), arriva ad essere esplicitamente razzista contro ebrei e musulmani, ritrae , questo inaccettabile, tutti (proprio tutti) i musulmani come fanatici terroristi e suicidi, imputa tutti (tutti) i mali del mondo alle religioni.
Le scene finali fanno venire i brividi: si vede come Maher non riesca minimamente a distinguere religione e politica, e si dice esplicitamente che se le religioni non verranno sradicate il mondo finirà.
Non lasciamo il mondo ai fanatici. Non lasciamo l'informazione agli ignoranti. Questo film è un monito.
GIUDIZIO: NON GIUDICABILE NELL'IGNOMINIA (meno di 0/10).

martedì 12 maggio 2009

Contro lo spot Coca-Cola



Penso che ognuno di voi abbia avuto una reazione, magari diversa uno dall'altro, vedendo questo spot pubblicitario. Ad uno primo sguardo potrebbe sembrare carino, simpatico, addirittura intelligente. Poi è naturale storcere il naso vedendo che è uno spot della coca-cola, con le conseguenze ovvie che vengono alla mente, cioè che è una multinazionale, che chi commissiona la pubblicità non è certamente in quelle condizioni, ecc. ecc..
In realtà il problema è ben più serio: qui ci è posta come naturale qualcosa che non lo è.
La crisi finanziaria che ormai si è largamente diffusa nell'economia reale ci è raccontata come un fatto naturale, sì terribile, ma inevitabile. Il pensiero dei grandi lobbisti così predomina incontrastato facendo il lavaggio del cervello alle masse di lavoratori che prima di tutti stanno pagando. Alle corporations fa comodo che la pensi che la crisi economica sia un fatto con le stesse caratteristiche di casualità di un'eruzione vulcanica, in modo che così i grandi manager e le multinazionale, come appunto la coca-cola, possano continuare con le loro speculazioni e i loro sfruttamenti (ricordiamo che la coca-cola ha interessi in moltissimi campi, fino alle armi). La povera gente in questo modo non potrà protestare, lamentarsi, pensare di poter fare qualcosa; non penserà di dare la colpa ai grandi industriali che hanno causato la crisi, al massimo penseranno che tutto questo l'ha voluto Dio.
Dobbiamo fare in modo che questo indottrinamento attraverso il mezzo televisivo sia fermato!
Non possiamo permettere che i grandi borghesi ci impongano sopportare e patire per i disastri da loro causati, nel solo nome dell'arricchimento sfrenato!
I lavoratori devono liberarsi dalle catene dell'oppressione capitalistica e non accettare più che questo sistema continui ad esistere!
Contrastiamo questo spot che ci dice di stare buoni e subire, ribelliamoci subito e l'effetto sarà immediato!
Contro la Coca-Cola, contro lo sfruttamento capitalistico!

Sic hic iocus finem habet.

domenica 15 febbraio 2009

4 Mesi, 3 Settimane e 2 Giorni (recensione)




di Cristian Mungiu (2006)
con Anamaria Marinca, Vlad Ivanov, Laura Vasiliu

Otilia e Gabita, due studentesse che condividono la stanza in un dormitorio universitario, vivono la loro vita durante gli ultimi anni del comunismo in Romania, sotto Ceausescu. Gabita è incinta ma non vuole il bambino, e Otilia contatterà un uomo che, illegalmente, pratica l'aborto; ma il costo sarà molto alto.

Vincitore della Palma d'oro a Cannes, 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni è un capolavoro che difficilmente si può ridurre a parole.
L'ambiente in cui avvengono i fatti è forse il vero protagonista del film: i luoghi sono grigi, bui, freddi; le persone non sono certo migliori, vediamo infatti portieri di alberghi curiosi e meschini, fidanzati con rapporti artificiali, famiglie ipocrite e false. lo specchio di un paese, alla fine degli anni Ottanta, ancora sotto la morsa del comunismo, con la conseguente alienazione di ogni singolo individuo, che non può più cercare un contatto sincero e immediato.
L'unico spiraglio, nel film, è l'amicizia tra Gabita e Otilia, che sarà messa a dura prova dalla gravidanza indesiderata della prima, e dall'aiuto offertole dall'amica.
Questo non è un film sull'aborto, o meglio, può diventarlo in quanto ogni azione proibita, nell'ambito dittatoriale, che rientra nei diritti fondamentali, nel momento in cui diventa necessaria si trasforma in un trauma, in una tragedia. Qui l'aborto, ma potrebbe veramente essere stata qualsiasi altra cosa.
Il dolore portato da questo evento, amplificato al massimo dalla consapevolezza di essere fuorilegge e dal senso di colpa represso, è dominante in ogni scena, fino allo scioglimento finale, in cui l'unico rifugio, l'unica soluzione è cercare di dimenticare: dimenticare la legge, dimenticare la violenza inflitta a stessi, da altri e ad altri, dimenticare di essere umani.
Possiamo dire con certezza di fronte ad un film neo espressionista, che sottolinea, carica di pathos ogni situazione attraverso lo studio scientifico, attraverso l'analisi e una messa in scena cruda e vera. Inutile dire che la recitazione è superba, come quasi ogni altro aspetto dell'opera.
Un film che cambia il modo di vedere il cinema, un capolavoro.
Voto: 10/10

sabato 31 gennaio 2009

Halloween - The Beginning (recensione)



di Rob Zombie (2007)
con Heater Bowen, Daeg Faerch

La notte di natale un bambino di dieci anni, Micheal Myers, fa una strage della sua famiglia, risparmiando solo la sorellina. Quindici anni dopo, evaso dall'ospedale psichiatrico in cui era stato internato, tornerà a cercarla.

Sono alcuni anni ormai che il genere horror vive di remake di film degli anni settanta, o di prequel, o di seguiti di remake. Questo è addirittura una novità in materia: è un prequel per la prima metà film, poi diventa un remake. Se ne sentiva il bisogno. L'originale è evidentemente Halloween di Carpenter, pilastro di tutto il cinema horror. A seguire questo progetto è stato Rob Zombie (qui regista, sceneggiatore e anche produttore), persona ormai nota nel genere, autore del bel 'La casa dei 1000 corpi' e dell'eccellente 'La casa del diavolo'. Dispiace, e non poco, vedere come Zombie questa volta abbia fatto un cattivo lavoro. Non c'è molto da dire, il tran tran si intuisce già dai primi momenti: il ritmo è inesistente ci si annoia subito, gli attori sono alquanto incapaci e anche mal diretti, mancano punti particolarmente avvincenti (fatta esclusione forse per gli ultimissimi minuti di film), la sceneggiatura è mediocre, le uccisioni sono alquanto prive d'inventiva. In pratica, il film non è divertente, anzi, a tratti può risultare addirittura sgradevole. Si salva, in extremis, la regia, che non scade in banalità o in manierismi, ma non è sufficiente. Ripeto: dispiace, perché Zombie ha grandissime potenzialità e le ha dimostrate, speriamo che questa sia una caduta momentanea.
Voto: 5/10 (regalato)

giovedì 15 gennaio 2009

The Millionaire (recensione)



di Danny Boyle (2008)
con Dev Patel e Freida Pinto

Jamal Malik è un diciottenne orfano cresciuto nella baraccopoli di Mumbai. Si ritrova però a leggere la domanda finale da venti milioni di rupie nel noto show televisivo, pur non avendo ricevuto alcuna educazione, e viene arrestato e interrogato per presunta truffa. Così verremo a sapere della sua mirabolante vita.

Per parlare di questo film è bene partire dalla fine, più precisamente dai titoli di coda; alla conclusione delle vicende infatti assistiamo ad un ballo di gruppo in puro stile Bollywoodiano, o, se volete, in stile musical. Premesso che abbiate visto il film, se arrivate ai titoli di coda rimanendo sorpresi significa che avete capito ben poco, in quanto è sicuramente la scena che meglio rappresenta il film stesso. A questo punto tutto dipende da cosa vi aspettate da un prodotto cinematografico, qualunque esso sia. Con The Millionaire ci troviamo di fronte infatti a un puro divertissement, ignobilmente mascherato con facciata che illude che sia presente una qualche denuncia sociale o uno sfondo realistico. Il protagonista per tutto il film infatti racconta la sua vita disgraziata in una delle zone più povere del mondo, tra fanatismo religioso, criminalità, speculazioni, ma anche fratellanza e amore. Qui è obbligatorio parlare del piano su cui è rappresentata la vicenda: se un qualunque film, senza fare distinzioni, vuole rappresentare la realtà passa attraverso la finzione, quindi la messa in scena che siamo ben consci non essere la vera realtà. Qui Boyle va oltre: non rappresenta la realtà attraverso la finzione, ma mette in scena una realtà filtrata due volte dalla finzione. Fondamentalmente questo è il motivo per cui molto critico apprezzano Boyle, anche come 'innovatore'. Il problema è che così facendo si crea un'opera di buon intrattenimento forzando le situazioni e i sentimenti, e questo è molto grave quando si parla di realtà difficili come quella indiana. In pratica The Millionaire è un musical senza musica, un film falso che più falso non si può, costruito sull'illusione e sul fittizio; è una grande e bella bolla di sapone, solo che pochi se ne sono accorti, anche a causa degli aspetti più formali, come la regia troppo veloce che non ci lascia il tempo di pensare e di accorgerci che quello che stiamo guardando non è nulla più che fumo. Il tutto aggravato, e qui penso che tutti siano d'accordo, da una costruzione troppo macchinosa e artificiale, a volte addirittura ripetitiva (domanda- evento della vita-domanda...). Non è così che si fa cinema.
Voto: 4,5/10

martedì 13 gennaio 2009

Gomorra Escluso dagli Oscar



Già con la sconfitta ai Golden Globe si poteva intuire che Gomorra non aveva poi molte possibilità di ambire a qualche Oscar, forse perchè l'Academy non sopporterebbe che un film molto premiato in Europa potesse esserlo anche nel loro Paese (non sia mai che qualcuno giudichi bello qualcosa prima di loro) . Quello che fa più riflettere però è l'importanza data a The Millionaire, il mediocre film di Boyle, che dopo aver sbancato i Golden Globe è il grande favorito agli Oscar. Basta veramente un pizzico di polvere negli occhi per convincere una giuria cinematografica?