giovedì 11 dicembre 2008

12 (recensione)



12 (2007)
di Nikita Mikhalkov con Nikita Mikhalkov, Viktor Verzhbitsky

12 ( il titolo prende nome sia dal giorno dell'avvenimento narrato sia dal numero dei giurati) è un riadattamento del film di Lumet del '57 'La parola ai giurati': una giuria si riunisce per decidere su di un caso apparentemente semplice, ma uno instillerà in tutti gli altri il germe del dubbio. Mikhalov riadatta il tutto ambientando il fatto in Russia e ponendo come apparente colpevole un ceceno, accusato di aver ucciso il patrigno, un ex-soldato in congedo.
Il film fa parte nel filone abbastanza recente del nuovo cinema russo, reso famoso internazionalmente da 'I Guardiano della Notte', che apparentemente ha ben poco a che fare con questo, essendo un action-fantasy molto commerciale. Se però per differenza confrontiamo questi due film con un filone russo più classico, che va da Tarkovsky a Sokurov, ci parranno più chiare le analogie. Lo stile è più asciutto, perde tutto il lato lirico e il montaggio si fa estremamente veloce, fino a diventare frenetico nelle scene d'azione; la lentezza, l'indugiare sul particolare che hanno reso famosi i due registi sopra citati sono stati dimenticati in favore di un cinema più fruibile al grande pubblico. 12 trova qui il suo punto più importante, e nell'aver portato questo modo di fare cinema ad un genere non solo commerciale, ma anche d'autore. Per il resto i realtà c'è poco da dire : a turno ognuno dei 12 giurati racconterà più o meno la propria storia, per arrivare ad un finale non scontato ma forse un po' lontano dalla nostra mentalità per essere compreso appieno. Le recitazioni sono nel complesso buone, il ritmo a volte risente della fastidiosa interruzione dei flashback e due ore e mezza non sono poche (ricordiamo che tutto il film è ambientato in una palestra), ma tutto sommato il lavoro è più che discreto e non ci sono note particolarmente dolenti. L'attualizzazione con la situazione cecena non riesce a sopperire totalmente alla mancanza di originalità, ma non si ha la sensazione di 'già visto'; se siete interessati all'evoluzione del cinema russo, è un must.
Voto: 7,5


mercoledì 3 dicembre 2008

Nella valle di Elah (recensione)



Nella Valle di Elah (2007)
di Paul Haggis con Tommy Lee Jones, Charlize Theron

Hank (Tommy Lee Jones), anziano veterano di guerra, riceve una telefonata dalla base militare in cui era di servizio il figlio, e viene a sapere che è scomparso pochi giorni dopo essere tornato dall'Iraq. Qui comincia la ricerca, che porterà Hank a scoprire che il figlio ha fatto una bruta fine in suolo americano.

Paul Haggis, dopo la brutta prova di Crash- Contatto Fisico, corregge il tiro e riesce a creare un discreto prodotto, almeno all'apparenza. L'impianto del film è estremamente classico, e qui possiamo trovare probabilmente sia il maggior difetto del film sia il motivo del miglioramento di Haggis. E' quindi palese che ci troviamo di fronte a uno dei registi più sopravvalutati degli ultimi tempi, se qui per riuscire a creare qualcosa all'altezza delle aspettative ha dovuto barricarsi dietro a una struttura tanto curata quanto semplice e priva di idee. Il cuore del film non è certo nella struttura, ma nel tema, quindi la guerra, il dolore di dover combattere e l'impossiblià della reintegrazione sociale. Anche qui potrebbero alzarsi delle critiche ('troppo facile', o qualcosa del genere), e non sarebbero neanche del tutto sbagliate. L'elemento che più colpisce è però la posizione che assume Haggis nei confronti dei temi che tratta: a una prima occhiata potrebbe sembrare che sia un film che accontenta tutti, sia i pro che i contro (alla guerra); ad un'analisi più approfondita però ci accorgiamo che Haggis ha un'idea molto precisa: in pratica, il messaggio del film è che la guerra non è sbagliata, anzi, potrebbe anche essere giusta, è proprio la guerra in Iraq che è sbagliata. Le critiche maggiori al film vengono mosse per questa posizione, guerrafondaia, ma forse sarebbe più giusto criticare l'eccessiva retorica con cui questa tesi viene sostenuta. Se Haggis avesse osato di più, nella forma e nel contenuto, probabilmente avrebbe fatto un lavoro molto peggiore di questo, che avendo una struttura molto solida, benchè scontata, e dei bravi interpreti (Charlize Theron a parte, coi capelli scuri sta davvero male), riesce a raggiungere la sufficienza.
Voto: 6

venerdì 14 novembre 2008

mercoledì 12 novembre 2008

All'Esigua Utenza

Il blog sarà prematuramente sospeso per miei problemi a connettermi regolarmente alla Rete. Spero di pubblicare qualche post comunque.
AGGIORNAMENTO DEL 4 DICEMBRE 2008: Emergenza rientrata.

domenica 2 novembre 2008

Wall-E (recensione)



Wall-E (2008)
di Andrew Stanton


Robot e Cuore

Wall-E è l'ultimo essere robotico in funzione sulla Terra, da quando il genere umano si è trasferito nello Spazio. Ha lavorato per secoli a fare cubetti di rifiuti, fino a quando, nel 2700 circa, un robot molto più avanzato di nome EVE interromperà la sua laboriosa solitudine.

Nelle ultima stagioni cinematografiche la Pixar non ha certo lasciato deluso il suo pubblico, anche quel Ratatouille dell'anno scorso non era per niente male. E' per questo che vedere Wall-E lascia così sorpresi: è arduo pensare che (quasi) ogni anno il distacco qualitativo sia così evidente.
Wall-E supera di gran lunga i suoi predecessori sotto tutti i punti di vista: è forse superfluo dire che il livello grafico e delle animazioni lascia a bocca aperta (alcuni paesaggi della terra desertica sono opere d'arte a se' stanti). Il character design è eccelso, anche nel rendere le differenze dall'obsoleto Wall-E all'ipertecnologica EVE, la controparte femminile. Bisogna sottolineare anche che probabilmente nei film d'animazione visti in passato si dava più importanza all'impianto tecnico di personaggi e ambientazioni (pensiamo al progresso nella resa delle pellicce degli animali) che ad una reale caratterizzazione artistica, forse avevano più importanza i programmatori che i disegnatori; posso affermare senza alcun dubbio che qui si è raggiunta la più alta simbiosi tra le due categorie, entrambe favolose.
L'impostazione narrativa è solo superficialmente tradizionale, in quanto nella realtà si distacca dall'ossessione contemporanea di costruire una storia perfetta, senza cali di ritmo e sempre veloce, e questo è uno dei motivi della riuscita del film: la storia è tutto sommato semplice, e ricordando la lezione dei vecchi classici Disney ampio spazio è lasciato alla poesia e all'emozione.
Non vorrei sottolineare che se si fosse evitata una parte centrale che rispecchia le caratteristiche di velocità narrativa sopra citate, probabilmente ci troveremmo davanti ad un capolavoro con la C maiuscola. La forza del film sta proprio nelle emozioni che le immagini riescono a trasmettere, cosa che molti non credevano fosse più possibile ormai, nell'era in cui il video domina ovunque, rendendoci insensibili.
Ma se escludiamo la parte puramente poetica, e ci concentriamo sul lato più cinematografico, la cosa che lascia più esterrefatti è la regia: già con Ratatouille si erano fatte riflessioni sul fatto che il cinema d'animazione potesse raggiungere livelli registici non realizzabili col cinema tradizionale, e con Wall-E non possiamo che trovare una conferma a questa ipotesi: non che il cinema tradizionale sia destinato a tramontare, questo non accadrà mai, ma dobbiamo essere consci del fatto che si sia superato il livello in cui i cosiddetti 'cartoni animati' sono realizzati con inquadrature frontali fisse o al massimo una carrellata. Le cose sono cambiate, si sono raggiunti ottimi livelli di integrazione con immagini filmate 'dal vero', e nell'utilizzo di effetti come il bianco e nero.
Insomma, Wall-E è un film che dovrebbe essere visto da tutti, ma proprio tutti, e se qualcuno osa dire (è successo) che è troppo sentimentalista va tacciato di essere insensibile.
Un plauso ai titoli di coda più belli mai visti, che ripercorrono l'arte (dipinta) dai graffiti rupestri all'espressionismo o giù di lì, con sottofondo di George Micheal.

Voto 9,5/10

mercoledì 29 ottobre 2008

Vogliamo anche le rose (in pillole)



Anita caprioli in questo documentario si serve di tre diari per ricostruire la situazione di un'Italia che è stata, e che forse è stata dimenticata. Il film poi si articola, attraverso un grandioso apparato di filmati d'archivio montati con grandissima abilità, in modo da riuscire fruibili anche al più disattento degli spettatori, grazie anche all'infinita quantità di spunti di riflessioni che emergono quasi spontaneamente qua e là. Non pensiate che sia uno di quei documentari che vanno tanto di moda oggi, come quelli d'inchiesta alla Micheal Moore, estremamente lucidi e fissati su ciò che vogliono vedere: qui a farla da padrona è l'atmosfera che con grande maestria è stata ricreata, attraverso le emozioni, le lotte, le ideologie, le contraddizioni di un'Italia così vicina ma così lontana. E, come ci è ricordato nei titoli di coda, non è ancora finita.

mercoledì 15 ottobre 2008

I Simpson - il film (recensione)



I Simpson - il Film (2007)
di David Silverman

Simpson o non Simpson?

Homer, non obbedendo all'ordine di Marge, scarica i rifiuti prodotti dal suo maiale nel lago già al limite della sopportazione. Il Governo degli Stati Uniti decide così di isolare Springfield sotto una cupola trasparente, ma la famiglia Simpson cercherà in tutti i modi di salvare la loro amata città.

La famiglia più famosa della televisione arriva al cinema dopo quasi vent'anni di programmazione regolare: ma quanto ha mantenuto del suo spirito?
L'approccio a questo film può essere vario, e dipende fondamentalmente dalla conoscenza dello spettatore dalla serie TV creata da Matt Groening.
Io distinguerei tre tipi di persone che si accingono a guardare questo film: chi non ha praticamente idea di cosa siano i Simpson, chi ha visto qualche episodio e sa di cosa si tratta, e chi può dire di conoscere bene le serie, gli appassionati insomma.
Il primo tipo, quello formato da chi non sa cosa siano i Simpson, troverà sicuramente questa trasposizione divertente, e 'scoprirà' che questo cartoon è più irriverente e senza peli sulla lingua di quanto pensassero (posizione di gran parte della critica).
Anche gli spettatori medi troveranno questo film divertente, piacevole ma sapevano già dell'irriverenza sopra citata.
Gli appassionati, di cui io purtroppo mi ritrovo a far parte, resteranno senza dubbio con l'amaro in bocca. Nonostante i grandi nomi che hanno lavorato al progetto, dallo stesso Groening a L. Brooks, sceneggiatore degli episodi, il risultato è molto scarso, se paragonato ovviamente alla serie TV.
Molto di questo film si riesce a comprendere se lo si vede sia su un grande schermo sia su uno schermo televisivo: se al cinema le emozioni non mancano, date soprattutto dalle azioni spettacolari accompagnate da un'eccellente realizzazione tecnica, in TV gli sbadigli non mancano; la mancanza di un contenuto è agghiacciante, con un risultato finale di assoluta superficialità.
E' chiaro che pochi hanno notato questo, pochissimi si sarebbero aspettati qualcosa di diverso da un cartone animato americano, e moltissimi, a torto, hanno visto questa vacuità come se il film fosse un episodio tv più lungo. In realtà in un singolo episodio da poco più di venti minuti c'è molta più sostanza dell'intero film.
La motivazione comunque è tutt'altro che oscura, è anzi evidente già dalla primissima scena del film, in cui Grattachecca e Fichetto, gatto e topo, se le danno di santa ragione: al contrario degli episodi TV è stato censurato il sangue. Da buona tradizione americana è stato trasformata un'opera di critica sociale, a volte per nulla lieve, in un'opera ipercommerciale che deve essere per forza adatta a tutti, grandi e piccini, e non deve assolutamente urtare la sensibilità di nessuno, perdendo la capacità di far riflettere ( si ricordi che i Simpson sarebbero di ideologia apertamente democratica).
Come già detto, comunque, la realizzazione è molto curata, il film a volte diverte e anche i più appassionati ritroveranno un po' di auto-citazionismo (ad esempio quando viene mostrato il confine di Sprinfield con Stati americani che non confinano tra loro). Alla fine però questi non sono i veri Simpson, sono un surrogato buonista e annacquato.
Voto: 6,5

mercoledì 8 ottobre 2008

Non Pensarci (recensione)



Non Pensarci (2007)
di Andrea Zanasi con Valerio Mastandrea

Il Vecchio Nuovo

Stefano Nardini è un chitarrista rock che a trentasei anni non è ancora riuscito a sfondare, e quando trova la sua ragazza, nell'appartamento di lei, con un altro, non ha posto dove andare, e si vede costretto a tornare dalla sua famiglia, che vive a centinaia di chilometri a Nord da lui. Ovviamente qui troverà che le cose sono tutt'altro che tranquille, e cercherà di risolvere i vari problemi con il fratello, la ditta sull'orlo del disastro, i genitori, la comunità.

Dopo aver letto una trama del genere, chiunque penserebbe alla solita minestra fatta di drammi personali, crisi di coppia (presenti), e qualsiasi altra cosa che il cinema italiano non esita a darci in continuazione. Su questo torneremo dopo. Molti critici hanno addirittura acclamato questo film, definendolo 'una boccata d'aria fresca', addirittura una novità; questo si giustifica nel fatto che non stiamo parlando di un film drammatico, o d'autore, ma di una commedia bella e buona ( inizio tragico, conclusione abbastanza positiva e personaggi 'classici', come la prostituta fonte di gag).
Il grande pregio di questo film sta proprio qui, in una forma estremamente fruibile a tutti i livelli, da un pubblico casuale a un più raffinato cinefilo. Ritmo estremamente serrato, tempi azzeccati alla perfezione (non è poco), situazioni molto divertenti e dopotutto mai banali, momenti più sentimentali. Troviamo poi attori che raramente sono così a loro agio in una commedia, mai stonati o sopra le righe, di buona caratterizzazione (se escludiamo alcune macchiette, che compaiono solo poche volte per fortuna): la recitazione, insomma, è più che convincente.
Non esito a dire che questo film è sicuramente una delle migliori commedie italiane degli ultimi anni. Qui, però, mi sorge una domanda: è questo un pregio? Ora spiego: questo film, visto da appassionato, mi ha lasciato un certo amaro in bocca. Non per la qualità, certamente discreta, quanto vedendolo nel contesto: desolante, a parte qualcosa di Soldini in Italia non c'è una commedia che non sia uno pseudo-Moccia o uno pseudo- De Sica (salvo rarissime eccezioni, come Pranzo di Ferragosto), difficile, troppo, trovare qualcosa di convincente nel panorama del brillante, se escludiamo quei film d'autore che un po' della commedia hanno, ma non si possono definire di questo genere.
Adesso torniamo al primo punto, che giustifica il discorso fin qui fatto: la trama non è certamente innovativa, e purtroppo la seguono a ruota i contenuti: tutto già visto, già masticato e rimasticato, dal tema della crisi della ditta, all'abusatissima crisi matrimoniale, al protagonista malvisto da qualcuno perchè lavora lontano, all'amico fuori di testa. Il regista ha anche cercato di sottolineare il problema dell'artita non riconoscito come professionista, ma a mio avviso in modo fallimentare e alquanto forzato.
Emblematicon el film è il personaggio del giovane politico, che ad un cert punto sfoga le sue frustrazioni: voleva cambiare le cose, lui, ma scopre di non aver nessun potere. La parbola del film: pensava di poter cambiare almeno qualcosa, ma è stato insufficiente.
Voto: 6/10

P.S.: questa recensione sembra una stroncatura, in quanto ho dato troppa enfasi a difetti appena percettibili, e ad elementi che poco interessao il pubblico medio. Anche per questo il voto sembra forse troppo alto. La prossima volta cercherò di essere più equilibrato.

sabato 4 ottobre 2008

Sulla (giusta) scelta di Gomorra per gli Oscar 2009



“Gomorra”, il film di Matteo Garrone tratto dal best seller di Robert Saviano, è stato designato dall’Anica a rappresentare l’Italia agli Oscar. Sarà l'Academy di Los Angeles a decidere, il 22 gennaio, quale film straniero sarà effettivamente candidato all’Oscar. AGI

Come avete letto qui sopra, Gomorra di Matteo Garrone, ma forse è più giusto dire di Saviano, è stato scelto per rappresentare l'Italia all'edizione degli Academy Awards 2009. Ovviamente non è ancora detto se entrerà effettivamente nella rosa dei candidati reali (ricordo che nel 2007 sono stati vagliati 61 titoli e che solo 9 sono stati scelti). Se avete visto il film non potrete sicuramente aver fatto a meno di riflettere su questa notizia: la domanda più ovvia da porsi è se sia questo il film giusto per rappresentarci e rappresentare il cinema nostrano.
Io dico subito cosa penso, poi spiegherò: secondo me è stata una scelta azzeccata, sono sostanzialmente d'accordo.
L'unica critica che si può muovere è sull'italianità del film nel senso più stretto del termine: è chiaro che Gomorra nella sua impostazione di base non rientra nella media dei film italiani, sotto alcuni punti di vista. Non è ambientato in una situazione alto-borghese, non tratta di drammucci personali che assumono dimensioni epiche, non è patinato, e questo lo distingue nettamente da quello che nostro cinema, con alcune eccezioni, ci offre quotidianamente.
Questo è il punto. Non possiamo neanche lontanamente pensare che quello detto sopra sia un difetto, o di svantaggio nell'ambito della competizione, bensì dà una marcia in più a Gomorra.
Veramente pochi l'hanno notato, ma Gomorra è un prodotto impostato per una fruizione altamente internazionale: il premio vinto a Cannes ne è una prova evidente.
Gomorra non è un film strettamente corale, alla Altman, ma non può neanche essere definito a episodi singoli: Hollywood ha ricominciato ad apprezzare una struttura del genere, ricordiamo Crash di Haggis e i film di Inarritu, che hanno vinto valanghe d'Oscar.
Mancano poi i consueti dialoghi sterminati e sterili (anche se a volte piacevoli) dei 'soliti' film italiani, in favore di una buona dose d'azione e sangue che al pubblico non dispiace mai, soprattutto se americano; infine, la cosa più importante: parla di Mafia, della mafia italiana, quella di cui tutti (sto parlando di un pubblico internazionale) vogliono sentir parlare e quella che noi italiani così raramente raccontiamo. Sebbene consideri Gomorra un film abbastanza buono, qualitativamente, e niente di più penso che abbia dei presupposti più che validi per poter competere agli Oscar, e per avere un successo internazionale.

AGGIORNAMENTO 08/12/2008:
Gomorra di Matteo Garrone domina gli Efa, gli European Film Awards, conquistando i premi più prestigiosi: miglior film europeo, miglior regia, miglior sceneggiatura (Maurizio Braucci, Ugo Chiti, il neo-regista di "Pranzo di Ferragosto" Gianni Di Gregorio, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso e Roberto Saviano, l'autore di questo best-seller sulla camorra), miglior fotografia di Marco Onorato e miglior attore, Toni Servillo. Quest'anno è lui Il Divo, per dirla con il titolo del film di Paolo Sorrentino (che era pòure in corsa), nel quale sempre l'attore napoletano è protagonista. [da l'Unità]




venerdì 26 settembre 2008

Inizio qui

Questo è il primo post. Cercherò di aggiornare regolarmente il blog, creato per accogliere le mie (e vostre) riflessioni soprattutto sul cinema, da cui ovviamente il nome, ma mi permetterò di postare anche qualcosa su televisione, videogiochi, e magari anche attualità. La mia intenzione comunque è di rimanere il più possibile sul cinema. Buona fruizione.